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La musica nei lager assunse un ruolo fondamentale nell'esaltazione dell'orrore e nell'annientamento della dignità umana. La musica era suonata di continuo, e scandiva il ritmo incalzante della vita di un prigioniero, durante le adunate, ma soprattutto nel corso delle esecuzioni, quando, a seconda del campo di concentramento, un'orchestra costituita da detenuti, oppure un singolo solista, accompagnava l’evento con il cosiddetto "Tango della morte". Era, questo, un palese insulto alla dignità dell'individuo, che preludeva all'annientamento pressoché totale della sua personalità. Allo stesso tempo però, la musica fu vista dai detenuti come un modo per stemperare l'odio, come afferma Francesco Lotoro, pianista e critico musicale che in "Musica Judaica" ha raccolto alcune tra le composizioni più significative della letteratura musicale "concentrazionaria".[1]
Abbiamo testimonianza di numerosi compositori prigionieri dei lager nazisti, in particolar modo a Terezìn (Theresienstadt), cittadella fortificata costruita presso Praga da Giuseppe II e trasformata nel 1941 in ghetto per l’eliminazione degli ebrei; qui la cultura conservò ancora un ruolo molto importante, con personaggi come Gideon Klein, Viktor Ullmann, Pavel Haas o ancora Hans Krása. Questi furono appunto promotori della Entartete Musik, in tedesco “musica degenerata”, proprio quella che fu bandita durante gli anni del nazismo. Oltre a concerti di musica classica e jazz, si faceva anche del cabaret, e, grazie al palco montato nello spiazzo principale della cittadella, talvolta i detenuti potevano assistere a concerti della banda. Qui venne addirittura girato un film-documentario dal titolo «Der Führer schenkt den Juden eine Stadt», "Il Führer dona una città agli ebrei", di evidente funzione propagandistica. Così, nel giugno 1944, una troupe televisiva, munita di fari, telecamere, pellicole, microfoni e altre attrezzature cinematografiche, giunse a Terezìn, ove già tutto era predisposto. Le aiuole della piazza centrale abbellite con le rose, i bar aperti, venne costruita una pedana per l'orchestra, vennero fatte inscenare dai giovani partite di pallone nella caserma abbandonata, insomma, si voleva rappresentare l’assoluta normalità, e per di più in modo che Terezìn apparisse una vera e propria località di villeggiatura. Vennero anche mobilitati musicisti ed orchestrali: è proprio grazie a questo documentario che possiamo avere testimonianza di molte composizioni di artisti internati; ne è un mirabile esempio l'esecuzione dello Studio per orchestra d'archi di Pavel Haas, breve composizione, intensa, di stile contrappuntistico, ma di forte incisività, che compare in una delle scene cruciali del film. Haas morì dopo essere stato deportato ad Auschwitz il 28 settembre 1944, e la stessa sorte subirono tutti gli altri musicisti del campo, fra i quali anche Ullmann e Krása, tutti gli attori, le comparse ed i figuranti del film. Si trattò dunque di una sorta di distruzione delle prove.
La musica a Terezìn non fu sin da subito autorizzata; in un primo tempo, infatti, chiunque venisse trovato in possesso di uno strumento musicale veniva giustiziato. Per i musicisti all'interno del campo si ebbe così un'estrema difficoltà a reperirne: violini, violoncelli, e contrabbassi venivano perciò introdotti illegalmente all'interno del ghetto, mentre già erano presenti nelle sale della Kommandantur (gli uffici del ghetto) un pianoforte non più perfettamente funzionante e, nella chiesa, un harmonium. Le prime prove e i primi concerti avvenivano di nascosto nella vecchia caserma e nei sotterranei, ed erano perciò aperti soltanto ad una cerchia molto ristretta di persone. Solo in un secondo momento, come afferma Gabriele Manca, le SS si resero conto di poter approfittare della necessità degli artisti di fare musica per i loro scopi di tortura[2], e legalizzarono l'attività musicale, senza però accorgersi di innescare "una macchina formidabile di resistenza"[3]. I concerti divennero all'ordine del giorno, e vennero messe in scena più volte opere come La serva padrona di Pergolesi, Il flauto magico di Mozart, La sposa venduta di Smétana, o l'opera per l'infanzia Brundibár di Hans Krása[4], su libretto di Adolf Hoffmeister, che venne rappresentata per ben 55 volte a Terezìn dai bambini del campo[5]; era un’opera di forte significato simbolico-allusivo, e parte di essa venne inserita nel film Der Führer schenkt den Juden eine Stadt.
Ma l'apoteosi dell'attività musicale in Terezìn si ebbe sicuramente con la messa in scena del Requiem (Missa pro defunctis) musicato da Giuseppe Verdi, un nome sconosciuto per la gente comune del posto. Il direttore Rafael Schöchter, internato nel campo, riuscì infatti, non senza imprevisti e problemi, a formare un'orchestra di soli detenuti e a eseguire l'opera davanti a un pubblico di sole SS.[6] Molti dei musicisti, infatti, proprio nei giorni delle prove vennero deportati definitivamente ad Auschwitz, e si dovette procedere nuovamente ad un'accurata ricerca e di cantanti e di strumentisti, cosa certo non semplice all'interno di un ghetto.
Ciò che colpisce maggiormente nell'ascoltare musiche composte da autori internati, o eseguite da complessi orchestrali all'interno dei campi, o di ghetti come Terezìn, è la fortissima allusività che esse assumono in quel preciso contesto. Infatti, come Brundibár, l'operetta per bambini di Hans Krása, non si limita certo al diletto collettivo, o l'Imperatore di Atlantide, nell'omonima opera di Viktor Ullmann non è un personaggio totalmente immaginario, così la scelta dell'esecuzione del Requiem di Verdi, da parte di Schöchter, non è assolutamente casuale.
Brundibár è un'opera in due atti per dieci bambini solisti, coro di bambini ed ensemble strumentale scritta da Hans Krása nel 1938, e rappresentata per la prima volta nel 1941; fu l'unica completamente messa in scena con costumi e scenografie originali ad opera degli internati. Recentemente è stata riscoperta, ma rimane purtroppo ancora una delle opere meno conosciute e meno eseguite, e andrebbe pertanto valorizzata. La vicenda narrata tocca tutti quanti i temi e i valori che più sono importanti per i bambini, perciò, se mal interpretata, potrebbe cadere nel banale. I protagonisti sono Aninka e Pepicek, due fratellini orfani di padre, che devono comprare il latte per la mamma malata, ma non hanno danaro a sufficienza e si avventurano soli per il paese per elemosinare, cantando e danzando, come già fa il burbero Brundibár. E' proprio lui il nemico, il tiranno, a minacciare la felicità dei due piccoli, e di tutti i bambini del paese. L'opera si conclude con un felice epilogo: la sconfitta di Brundibár il tiranno da parte dei fratellini e dei loro amici, con chiare allusioni alla situazione reale; con queste parole di vittoria il coro celebra il trionfo: «Forte squilla la tromba e il tamburo rimbomba, o giorno fortunato, il tiranno è spodestato!»[7].
Si ha dunque una presa di posizione da parte dei detenuti: la musica diventa arma di ribellione, ed è usata come strumento per infondere sia la speranza in una possibile liberazione dal tiranno, sia la forza morale per poter agire in una tale condizione di dolore e disperazione. La fiaba offriva pertanto ai detenuti una via per allontanarsi dalla realtà e rifugiarsi in un altro mondo, per dare sfogo alle fantasie e ai desideri collettivi, identificando in quel malvagio, il tiranno invisibile della loro storia, Hitler, che finalmente erano riusciti, anche se "virtualmente", a rovesciare. Come ci narra un detenuto superstite,
“Brundibár e tutto ciò che di culturale abbiamo fatto aveva una grandissima importanza per noi. Questo materiale ci ha un po’ aiutati ad entrare in un altro mondo, a dimenticare per un po’ la brutta realtà, dimenticare che avevamo fame […] A Terezìn noi non abbiamo assaggiato del latte per anni, né uova, né torte, né caramelle. Ed improvvisamente c’era uno che vendeva gelati e cioccolata, come se ci fossero veramente.[…] Più di tutto Brundibár ha dato questa forza creativa per cui nessuno aveva più fame, attraverso questo poteva dimenticarlo."[8]
Brundibár, insomma, ha infuso nei prigionieri di Theresienstadt, seppur per breve tempo, la speranza, la voglia di continuare a vivere e a sperare in tutta una serie di cose che difficilmente essi avrebbero potuto immaginare di nuovo e rivivere. L'arte, più in particolare la musica, nel nostro caso assume dunque una funzione "catartica", di purificazione dei traumi vissuti attraverso la rievocazione tragica degli stessi che quasi va sfumando nel comico, nel grottesco e nel carnascialesco.
Di contenuti del tutto simili a Brundibár è l'opera Der Kaiser von Atlantis oder Die Tod-Verweigerung ("L'Imperatore di Atlantide, ovvero il rifiuto della morte") di Viktor Ullmann, composta su testi di Peter Kien, anch'egli vissuto a Terezìn, nella quale si inscena il duello tra l'Imperatore (probabilmente Hitler) e la Morte. Così Ullmann non si propone certo, come scopo, la ribellione e la lotta, bensì la denuncia dell'incredibile situazione della città-ghetto. Egli infatti vede nella sua prigionia a Terezìn non tanto un periodo oscuro o poco fertile, quanto più un periodo formativo, che, paradossalmente, forse gli dispiacerebbe non aver vissuto, che forse però è soltanto un tentativo di razionalizzazione di una cosa che pare sì tanto assurda ed inspiegabile:
"..devo sottolineare che Theresienstadt è servito a stimolare, non a impedire, le mie attività musicali; che in nessun modo ci siamo seduti sulle sponde dei fiumi di Babilonia a piangere; che il nostro rispetto per l'Arte era commensurato alla nostra voglia di vivere. Ed io sono convinto che tutti coloro, nella vita come nell'arte, che lottano per imporre un ordine al Caos, saranno d'accordo con me."[9]
L'opera non fu mai eseguita negli anni della prigionia dell'autore, perché subito censurata dalle SS, in quanto la figura del sovrano, il re Overall, appariva per molti aspetti troppo simile a Hitler; fu rappresentata soltanto nel 1975 ad Amsterdam, in una versione fortemente rimaneggiata. Essendo stata composta all'interno di un ghetto, l'opera ha un organico molto ridotto, appena sette voci e tredici strumenti, e si rifà per numerosissimi aspetti al linguaggio mahleriano, usando, per esempio, molteplici volte l'intervallo di quarta eccedente, o talvolta facendo accenno a uno dei temi, variato, del Das Lied von der Erde (Il Canto della Terra) appunto di Mahler.7 Il rifarsi al compositore austriaco non è certamente casuale, ma risponde a un piano programmatico ben preciso. Mahler, infatti, è forse il compositore decadentista il cui stile più è stato capace di coniugare la chiarezza, suo principio ispiratore, e il grottesco, pur riuscendo a ricavarsi momenti di spiccato patetismo, melanconia ed intimità che ora, mutatis mutandis, possiamo ritrovare, come un messaggio sigillato in bottiglia, in questo contesto novecentesco.
Anche Schöchter si avvale della musica come d'una potente arma di ribellione, ed è per questo motivo che la sua scelta ricade proprio sul Requiem: vuole lanciare l'ultimo grido di disperazione, non di una poco dignitosa rassegnazione di fronte al destino, ma di resistenza, e sceglie proprio la musica per comunicarci questo. Il Requiem, infatti, non è che la celebrazione religiosa del giudizio universale, è l'invocazione alla libertà eterna, quella stessa libertà negata ai prigionieri, il passaggio a una vita nuova, forse migliore, come sottolinea l'espressione «De morte transire ad vitam», nell'offertorio. «Libera me!, libera nos!», sono proprio queste le parole con cui si conclude il testo della messa, parole di speranza, di fede:
«Libera me», squillano le voci del coro, liberaci, risuonano da ogni lato i contralti, i tenori, i soprani e i bassi. «Libera nos» tempesta l'orchestra. E i Timpani tutt'a un tratto si mettono a tuonare «Libera nos!»[10].
Ma i tedeschi ridono, proprio non lo capiscono, non capiscono che «gli ebrei lo cantano per se stessi, come se volessero sonare la campana funebre per le proprie esequie»[11]. Pur essendo così, essi continuano a cantare, come a voler ribadire la loro resistenza fino alla fine.
"E abbiamo retto fino alla fine, adesso toccherà a quegli altri, i maledetti, vengono contati i loro delitti, s'approssima il giorno in cui saranno portati dinanzi al giusto tribunale di tutta l'umanità. «Confutatis maledictis, flammis acribus addictis», tuona minacciosamente il basso, per piegarsi subito dopo in una contrizione da penitente."[12]
Ora, però, quegli stessi che prima reclamavano di fronte ai loro aguzzini la libertà, devono arrendersi per piegarsi al loro tristo destino. Non si sono rassegnati, ma hanno lottato, pur dovendo alla fine arrendersi.
"la vita, che non sa più ridere né morire, che non sa più piangere in un mondo che ha disimparato a godersi la vita e lasciarsi morire... di morte. La Morte, inesorabilmente offesa da tale confusione, dall’eccessivo andirivieni e dalla meccanizzazione della vita moderna, spezza la sua sciabola e risolve di dare all’umanità una bella lezione: da ora in poi nessuno sarà più in grado di morire. Pronto, pronto! Cominciamo!" [13]
Pinerolo, marzo 2007 Matteo Chialva
Bibliografia e fonti
Josef BOR, Il «Reqiem» di Terezìn, Milano, Longanesi & C Editore, 1965 (1^ed s.l. 1963) pp.139;
Laura BURCALASSI, Brundibár, una favola per sopravvivere. La musica nella città-ghetto di Terezín, in “Sistema Musica”, gennaio 2006 http://www.sistemamusica.it/2006/gennaio/30.htm (consultato nel marzo ’07);
Peter Kien, "L'Imperatore di Atlantide", libretto dall'opera di Viktor Ullmann, pp.15, in http://www.radio.rai.it/radio3/radio3_suite/archivio_2004/eventi/2004_07_08_kaiser_atlantis/libretto.pdf (consultato nel marzo '07);
Primo LEVI, Lilìt ed altri racconti, Torino, Einaudi, 1981 (in particolare "Il nostro sigillo");
G.
M. GUALBERTO, Note da
Theresienstadt: Viktor Ullmann, in
http://www.fucine.com/network/fucinemute/core/print.php?url=archivio/fm10/gualberto.htm&id=171;
Fiorella SASSANELLI, Le colonne sonore dei lager. "La musica stemperava l'odio", in
http://www.quotidianiespresso.it/iltirreno/speciali/olocausto/pezzi/bari2.html (consultato nel marzo '07);
Gabriele MANCA, La musica sfruttata per legittimare l'orrore, in "Triangolo Rosso", luglio 2002,
http://www.deportati.it/static/pdf/TR/2002/luglio/42.pdf (consultato nel marzo ’07);
Guido BARBIERI, La corda spezzata. Teatro e musica nell'inferno di Terezin. Trasmissione radiofonica andata in onda su Radio 3 Suite il 27.01.2007.
Discografie
http://www.testimonianzedailager.rai.it/approfondimenti/discografia.asp (consultato nel marzo ’07);
http://www.valletrompia.it/esy/doc/61158/approfondimento.pdf, (consultato nel marzo ’07).
[1] Fiorella SASSANELLI, Le colonne sonore dei lager. "La musica stemperava l'odio", in
http://www.quotidianiespresso.it/iltirreno/speciali/olocausto/pezzi/bari2.html (consultato nel marzo ’07)
[2] Sull’uso della musica come strumento di tortura cfr. l’approfondimento sulla Violenza dei nazisti nei lager.
[3] Gabriele MANCA, La musica sfruttata per legittimare l'orrore, in "Triangolo Rosso", luglio 2002, http://www.deportati.it/static/pdf/TR/2002/luglio/42.pdf (consultato in marzo ’07) p.63
[4] Musicista e compositore cecoslovacco (Praga 1899, Auschwitz 1944) scrisse non solo per il teatro lirico ma anche musica da camera, trii, quartetti. Arrestato nel 1941 viene deportato a Terezìn dove rimarrà fin quasi alla morte, che avverrà ad Auschwitz nel 1944.
[5] Sui bambini nei lager cfr. l’approfondimento Essere bambini al tempo della Shoah.
[6] Josef BOR, Il «Reqiem» di Terezìn, Milano, Longanesi & C Editore, 1965.
[7] Guido BARBIERI, La corda spezzata. Teatro e musica nell'inferno di Terezin. Trasmissione radiofonica andata in onda su Radio 3 Suite il 27.01.2007.
[8] Testimonianza di un detenuto superstite in
http://www.teatrinodelrifo.it/gli%20spettacoli/Brundibar/brundibar.html
[9] G. M. Gualberto, Note da Theresienstadt: Viktor Ullmann in
http://www.fucine.com/network/fucinemute/core/print.php?url=archivio/fm10/gualberto.htm&id=171
[10] Josef BOR, «Il Requiem», cit., p.137.
[11] Ivi p.122.
[12] Ivi, p.97.
[13]Peter Kien, "L'Imperatore di Atlantide", libretto dall'opera di Viktor Ullmann, p.1; cfr. bibliografia.